AVV.ELENA CESERANI
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IL TRATTAMENTO DEI CREDITI TRIBUTARI NELLE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO E DI COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI D’IMPRESA
Il trattamento e la definizione dei crediti tributari e contributivi assume una grande rilevanza nel periodo storico attuale, segnato dagli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da coronavirus, che si riverberano sul tessuto socio-economico, come si evince dall’incalzante aumento delle istanze di definizione concorsuale delle posizioni debitorie depositate dalle imprese.
Questo contributo si prefigge lo scopo di ripercorrere l’evoluzione della normativa sul trattamento dei crediti tributari, mediante la giurisprudenza di merito e le criticità teoriche connesse, con riguardo, in particolare, all’annosa disparità di trattamento tra i soggetti fallibili e non fallibili (cioè coloro che sono assoggettati alle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento c.d. procedure concorsuali minori introdotte con la legge 3/2012), anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2020, della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 29 dicembre 2020 e delle recentissime novità introdotte sulla Composizione negoziata della crisi di impresa con l’approvazione della Legge 147/2021 e i suoi recenti correttivi.
L’introduzione della legge n. 3 del 2012 ha inserito nel nostro ordinamento la procedura di esdebitazione, destinata a tutti quei soggetti che non possono accedere alle procedure concorsuali previste dalla Legge Fallimentare.
Tali soggetti, prima della innovazione legislativa, restavano esposti alle azioni esecutive promosse individualmente dai creditori, salvo cercare un accordo stragiudiziale con questi ultimi, di difficile raggiungimento in assenza delle tutele per i creditori aderenti previste dalle procedure ora richiamate.
Il procedimento delineato dalla L. 3/2012 si sviluppa sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, e con la sua corretta esecuzione si realizza l’effetto della cancellazione dei debiti pregressi (c.d. discharge) del debitore (persona fisica o ente collettivo ovvero consumatore), che era inizialmente possibile solo per determinate categorie di imprenditori, soggetti alle ordinarie procedure concorsuali.
La ragione di una tale disciplina si rinviene, in tempi di forte crisi economica e finanziaria, conseguenti dapprima alla crisi 2008-2011 e ora alla pandemia da Coronavirus, nella necessità di offrire alle situazioni di insolvenza del debitore non fallibile (piccole imprese, società artigiane, imprese agricole, associazioni sportive) ovvero del consumatore, la possibilità della cancellazione dei debiti (c.d. fresh start) e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia, svincolandosi dal preesistente carico dell’indebitamento.
In relazione ai crediti tributari, prima dell’intervento della Consulta, vi era diversità tra la disciplina del concordato preventivo (possibile la falcidia dell’IVA ex art. 182-ter l. fall., come adeguato dal legislatore in funzione dei dettami comunitari) e la disciplina del sovraindebitamento (divieto di falcidia dell’IVA), e ciò determinava un’ingiustificata disparità di trattamento.
In materia di concordato, infatti, a seguito della pronuncia la Corte di Giustizia Europea del 7.4.2016, la normativa italiana si era adeguata al principio secondo il quale al sistema comune dell’IVA non ostano norme nazionali che consentono ad uno stato membro di accettare un pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice. Infatti, da un lato la procedura di concordato non comporta una rinuncia generale ed incondizionata al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti IVA, dall’altro la sua parziale rinunzia è coerente con la Raccomandazione degli Stati membri di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione delle imprese sane in difficoltà finanziaria, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.
Con la Sentenza N. 245/2019 la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione sollevata dal Tribunale di Udine, posta con riferimento all’art. 3 Cost. alla luce delle analogie tra il concordato preventivo e la procedura di sovraindebitamento, con conseguente possibilità per i debitori sovraindebitati di proporre, con il piano del consumatore o con l’accordo, la falcidia dell’IVA e dei tributi UE.
In particolare, nella sentenza della Consulta viene sottolineata la differenza di disciplina, in relazione alla falcidiabilità dell’IVA nelle procedure concorsuali, che caratterizzava il concordato preventivo e le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
In tale materia, ha, infatti, assunto una valenza decisiva la sentenza anzi menzionata della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C–546/14 del 7 aprile 2016) secondo la quale “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo […] non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio”.
Detta pronuncia, ha costituito la ratio ispiratrice della novella apportata dalla legge n. 232 del 2016 alla disciplina del trattamento dell’IVA nel concordato preventivo (artt. 160 e 182 ter L.F.), in forza della quale oggi la falcidiabilità delle pretese tributarie, anche garantite da prelazione, non vede più deroghe espresse. La citata sentenza della Corte di Giustizia ha assunto rilievo fondamentale in relazione allo scrutinio di legittimità costituzionale in commento, perché, a posteriori, ha tolto ragionevolezza alla scelta adottata dal legislatore, con la norma censurata, di definire l’IVA intangibile all’interno delle procedure da sovraindebitamento alternative alla liquidazione del patrimonio, previste dalla legge n. 3 del 2012.
E’ risultata in tal modo evidente l’ingiustificata differenza di disciplina che sino alla pronuncia d’incostituzionalità caratterizzava il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile, disparità di trattamento tale da concretare la violazione dell’art. 3 Cost., non essendovi motivi che, secondo il canone della ragionevolezza, legittimassero il trattamento differenziato cui risultavano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che potevano accedere al concordato preventivo.
Di seguito, si riportano i passaggi essenziali della pronuncia della Corte Costituzionale.
La L. 3/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento degli strumenti per i soggetti non fallibili, in crisi perché gravemente indebitati o già insolventi, di chiara matrice concorsuale, strutturati in chiave concordataria o meramente liquidatoria ed in termini sostanzialmente analoghi agli affini istituti contenuti nella legge fallimentare per i debitori fallibili;
La disciplina sul sovraindebitamento replica la filosofia di fondo di quella del concordato preventivo, individuata nell’esigenza di garantire anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e ciò alla stessa stregua di quanto riconosciuto dall’ordinamento agli imprenditori assoggettabili a fallimento.
Si tratta quindi di procedure che, in alternativa alla esecuzione individuale ed in deroga al principio secondo il quale delle obbligazioni si risponde con i propri beni attuali e futuri, attraverso forme concorsuali di soddisfacimento dei creditori destinate a garantire la par condicio (art. 2741 cod. civ.), sono in grado di permettere al debitore di conseguire il beneficio dell’esdebitazione;
L’accordo con i creditori è strutturato ribadendo, nei suoi tratti essenziali, la struttura del concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare. Infatti, entrambe le procedure hanno una base negoziale; entrambe sono pervase dal principio della parità di trattamento dei creditori concorsuali; prevedono il blocco delle iniziative esecutive individuali in danno del patrimonio del proponente; impongono, sin dall’ammissione e sino all’omologazione, un parziale spossessamento della capacità di disporre dei beni, nonché la cristallizzazione degli accessori del credito; entrambe le procedure sono sottoposte alla verifica giurisdizionale, in sede di ammissione e di successiva omologa, dalla quale promana l’efficacia erga omnes per tutti i creditori, compresi quelli dissenzienti.
Rebus sic stantibus, diventa possibile stralciare parte del debito erariale riconducibile ad IVA nell’ambito di una procedura concorsuale minore, alla quale accedono le persone fisiche, i professionisti, le società tra i professionisti, i consumatori, i soci illimitatamente responsabili per debiti personali, le ditte individuali e le società commerciali sotto soglia fallimentare.
Con la circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha inteso fornito le proprie indicazioni per la valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario presentate nell’ambito delle procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento.
La circolare n. 34/E/2020 enuclea l’istituto della transazione fiscale, procedura utilizzabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, che consente al contribuente di poter beneficiare di un pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario. Con la transazione fiscale il legislatore ha voluto superare, almeno in parte, il principio dell’indisponibilità del credito fiscale, stante la necessità di contemperare gli interessi erariali con la salvaguardia della continuità aziendale e dei connessi livelli occupazionali.
Gli interventi legislativi susseguitisi nel tempo hanno modificato l’impianto originale della procedura introdotta dall’art. 182-ter L.F., ammettendo la falcidia, sia all’interno del concordato preventivo che degli accordi di ristrutturazione, non solo dei debiti erariali gestiti dalle agenzie fiscali e dei loro accessori, ma anche di quelli relativi all’IVA e alle ritenute operate e non versate, con il limite della quota realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione. L’ultima revisione legislativa consente al Tribunale di procedere, in base ad una valutazione di maggior convenienza della proposta dell’imprenditore rispetto all’alternativa liquidatoria, all’omologa della proposta di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, anche in caso di “mancanza di voto”, o
“mancanza di adesione”, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, qualora l’assenso di quest’ultima sia necessario ai fini del perfezionamento della procedura compositiva.
Procedendo nella disamina della circolare, l’Agenzia delle Entrate, pone l’accento sulla funzione della relazione dei professionisti attestatori che attestano la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo.
Si tratta infatti di uno strumento di garanzia a favore dei terzi e dei creditori che consente loro di poter assumere scelte ponderate sulla base di informazioni corrette, attendibili e sufficientemente complete. Ciò, in quanto la relazione di attestazione è finalizzata a rafforzare la credibilità degli impegni assunti dal debitore mediante il piano diretto al riequilibrio della situazione economico-finanziaria ed al risanamento dell’impresa.
Alla luce di quanto previsto dall’art. 180 L.F. e dall’art. 182 bis L.F., la circolare ricorda che la relazione di attestazione è uno degli elementi di cui può avvalersi il Tribunale per omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in mancanza, rispettivamente, del voto o dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria.
La relazione di attestazione è dunque un documento idoneo a far acquisire al piano proposto dall’impresa un valore presuntivo, con specifico riferimento alla sua fattibilità tecnico finanziaria ed alla sua convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale (ora, al fallimento).
Si precisa nella circolare che “il fulcro del procedimento argomentativo che porta a ritenere accoglibile una proposta di trattamento del credito tributario deve essere incentrato sulla maggiore, o minore, convenienza economica della stessa rispetto all’alternativa liquidatoria” .
Nel caso del concordato preventivo, gli Uffici devono comparare il pagamento proposto con la domanda di concordato e quanto ricavabile nell’alternativa liquidatoria; nello specifico segnala la circolare che, ai fini del confronto, occorre che l’attestazione del professionista riporti anche il maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dall’eventuale continuità aziendale o dall’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria. Se poi il commissario giudiziale rende un parere favorevole alla proposta di concordato e, conseguentemente, alla relativa proposta di transazione fiscale, l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà essere sorretto da una puntuale motivazione che confuti in modo analitico, chiaro, oggettivo e verificabile, le conclusioni del Commissario stesso.
Nel caso di accordi di ristrutturazione dei debiti, la valutazione del trattamento dei crediti fiscali non è dissimile; anche in questa ipotesi, infatti, l’attestatore nella sua relazione deve tener conto non solo della veridicità dei dati aziendali e dell’attuabilità dell’accordo, con specifico riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, ma deve pur sempre valutare la convenienza del trattamento proposto rispetto all’alternativa liquidatoria. In sintesi, l’Ufficio è tenuto, dapprima, nel concordato preventivo, ad accertare che il trattamento fiscale proposto non sia deteriore rispetto agli altri creditori ugualmente garantiti (salvo che si tratti di creditori strategici) e successivamente, sia nel concordato preventivo che negli accordi di ristrutturazione, che sussista il requisito della maggior convenienza economica della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Dovrà dunque tener conto “dei valori degli asset aziendali e dell’ammontare conseguibile, in forza delle legittime cause di prelazione, in sede di assegnazione ai creditori delle somme realizzate mediante la liquidazione stessa”.
Nello specifico, l’Ufficio partirà per entrambe le procedure dalle valutazioni esposte nel piano attestato dal professionista indipendente e, nel caso di concordato preventivo, anche dal parere attestato e verificato dal Commissario Giudiziale; potrà disattendere le rispettive risultanze solo se siano ritenute manifestamente non attendibili ovvero non sostenibili.
In ogni caso – afferma sempre la circolare n. 34/E/2020 – è necessario assicurare il contraddittorio con il proponente che potrà, a sua volta, giustificarsi rispetto alla contestazione degli Uffici sulla base di specifici elementi adeguatamente documentati.
Di specifico rilievo in sede di valutazione della proposta è la condotta del contribuente, quando sia qualificata di natura distrattiva o addirittura come frode. Tali attività potrebbero infatti incidere direttamente sulla veridicità dei dati oggetto della relazione dell’attestatore e/o del parere del commissario giudiziale, causando una sottostima delle attività, una sovrastima delle passività o far emergere una sottrazione fraudolenta delle attività stesse. Gli Uffici devono accertarsi, in particolare, che il contribuente, prima di attivare la procedura di composizione della crisi non abbia: “simulato la cessione di asset aziendali a soggetti correlati; compiuto atti liberali – come la remissione del debito – non giustificati da normali logiche di mercato, quale potrebbe essere la salvaguardia di specifici rapporti commerciali; perfezionato operazioni di riorganizzazione aziendale, finalizzate a trasferire artatamente nel proprio patrimonio personale poste dell’attivo, costruendo così una bad company da sottoporre alla procedura compositiva; utilizzato fatture per operazioni inesistenti allo scopo di creare costi a carico dell’impresa”.
In presenza di condotte di frode, la valutazione degli Uffici dovrà essere più estesa e non limitarsi ad esaminare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.
Circa i tempi di dilazione previsti per il pagamento del debito fiscale, la circolare n. 34/E/2020 raccomanda di non tener conto di schemi generalizzati e dar massima attenzione alle caratteristiche specifiche di ogni fattispecie. Se, da un lato, il maggior orizzonte temporale dà luogo a stime circa il pagamento caratterizzate da notevole incertezza, dall’altro le caratteristiche dell’impresa, il patrimonio aziendale, la natura dell’attività dell’impresa potrebbero in realtà rendere affidabili le proiezioni anche a medio-lungo termine.
Pertanto, non esiste una tempistica migliore applicabile a tutte le proposte circa la dilazione del pagamento dei debiti tributari: ogni proposta è a sé e come tale deve essere valutata, proprio perché promana da un’impresa che ha proprie caratteristiche.
In altri termini, gli Uffici dovranno procedere secondo ragionevolezza ad accordi concretamente gestibili da parte del debitore; occorre infatti “evitare di subordinare il raggiungimento dell’intesa al rispetto di tempistiche e modalità di adempimento particolarmente onerose per il contribuente che, alla luce della situazione economico-finanziaria in cui versa l’impresa, potrebbero risultare di fatto, impossibili da rispettare”.
Le percentuali di soddisfazione possono essere adottate linee di comportamento simili a quelle indicate nel precedente paragrafo. In altri termini, non esiste una percentuale valida in tutti i casi o comunque una percentuale al di sopra o al di sotto della quale la proposta di transazione fiscale può essere o non essere accolta.
La proposta di soddisfacimento – ripete la circolare n. 34/E/2020 – deve essere, infatti, non “inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 4270 del 18 febbraio 2021, ha statuito che la procedura di sovraindebitamento è ammissibile anche se viene omologato un piano che considera il pagamento del solo 8% dei crediti privilegiati e quelli garantiti da ipoteca e pegno.
Nel caso di specie, un’impresa si rivolgeva al Tribunale tramite la procedura di composizione della crisi per sovraindebitamento (L.3/2012). La proposta di accordo proponeva anche la falcidia dei crediti privilegiati, con il loro pagamento del solo 8%. Il giudice adito rigettava la proposta di accordo per il sovraindebitamento, a causa del soddisfacimento parziale dei creditori privilegiati.
Formulato il reclamo, il Tribunale lo rigettava perché “nel prevedere la soddisfazione dei creditori privilegiati e dei crediti in origine chirografari, viola pertanto le posizioni dei creditori privilegiati, ed è quindi inammissibile per manifesta ragione attinente alla relativa fattibilità giuridica”.
Avverso la decisione del Tribunale l’impresa formulava ricorso in Cassazione, che procedeva a cassare la decisione del giudice di merito.
Per la Suprema Corte non è infondato un piano di sovraindebitamento che riduce i crediti privilegiati o garantiti da pegno o ipoteca fino all’8%. L’unico limite è che tali crediti “privilegiati” non siano pagati nella misura inferiore a quella conseguibile in caso di eventuale liquidazione. Per la Cassazione, la legge n. 3/2012, ammette, per i debitori non fallibili: “la generale falcidiabilità dei crediti tributari, privilegiati e chirografari”. Inoltre, il Supremo Collegio ha ricordato altresì che la procedura sovraindebitamento può anche falcidiare i tributi, in particolare l’IVA, dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.7 co, 1, terzo periodo, della Legge n. 3/2012 statuita dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2019.
Cassazione N. 18124 DEL 2022 PUBBLICATA 08.06.2022 in ordine all’esdebitazione dell’IVA
La predetta sentenza conferma esdebitazione dell’Iva per debiti residui anche di natura fiscale rimasti insoddisfatti successivamente alla liquidazione ( fallimentare).
La Suprema Corte ha confermato quindi la sentenza della commissione tributaria regionale che aveva ritenuto opponibili ai crediti tributari l’esdebitazione con confermando la bontà della decisione della medesima che aveva annullato la cartella di pagamento emessa dall’esattoria.
La medesima sentenza riprende ancora una volta i principi della Corte di Giustizia Europea,come sopra riportato, in relazione alla (causa C–546/14 del 7 aprile 2016) secondo la quale “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo […] non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio”.
Grazie per l’attenzione.
Avv. Elena Ceserani e Avv. Serena Rovelli