Il pagamento parziale del creditore ipotecario e il salvataggio della prima casa da parte del gruppo familiare 2

Il pagamento parziale del creditore ipotecario e il salvataggio della prima casa: come far prevalere la proposta di accordo di composizione della crisi rispetto all’alternativa liquidatoria. Coinvolgimento del finanziatore esterno, con sua liberazione dalla posizione di garanzia per il debitore, subordinato all’accettazione del piano.

Commento a Trib. Bologna, 12.01.22, est. Atzori 

Il caso

Marito e moglie, sposati nel 2004 e in regime di separazione dei beni, gestiscono rispettivamente una parafarmacia e un’erboristeria di loro proprietà; nel 2006 acquistano un immobile da destinare ad abitazione familiare, ottenendo da un istituto di credito l’erogazione di un mutuo per finanziarne l’acquisto e la ristrutturazione.

Nel 2008 i coniugi costituiscono un fondo patrimoniale per le esigenze della famiglia, conferendo l’immobile in comproprietà adibito a domicilio coniugale e un immobile ad uso negozio di proprietà del marito, entrambi gravati da ipoteca a favore di un istituto bancario.

Nel 2012 un evento sismico rende inagibili gli immobili ove si svolgevano le attività commerciali dei coniugi, facendo venire meno il reddito di entrambi e la possibilità di sostenere le rate del mutuo. La Banca trattiene gli importi erogati ai mutuatari dallo Stato nell’ambito degli aiuti stanziati a favore delle imprese danneggiate dagli eventi sismici, costringendo i coniugi a contrarre ulteriori debiti.

La difficile situazione genera una crisi coniugale, che nel 2016 sfocia nella separazione dei coniugi; alla moglie viene assegnata la casa familiare, dove rimane con i due figli e successivamente reperisce un’occupazione da lavoro dipendente nel pubblico.

Nel 2018 la parafarmacia, che nel frattempo ha generato debiti da attività d’impresa, viene chiusa; l’attività di erboristeria viene affittata e i coniugi si dividono a metà il canone. Il marito diventa dipendente part time dell’impresa che gestisce l’erboristeria.

Il sovraindebitamento a carico del marito si genera pertanto a causa della chiusura delle attività commerciali, dovute alle conseguenze del sisma, e i debiti si riferiscono al mutuo ipotecario contratto per la casa familiare e ad altre passività riguardanti l’attività d’impresa per gestire la parafarmacia, derivanti da contratti bancari, da imposte non pagate e da forniture di beni e servizi.

Dal punto di vista reddituale il sovraindebitato dispone di uno stipendio mensile di c.a. 800 euro, dell’introito del canone per l’affitto d’azienda di 400 euro mensili, a fronte di un fabbisogno mensile personale per 985 euro, comprensivo del contributo per il mantenimento dei figli stabilito in sede di separazione.

L’advisor interpellato individua nell’accordo di composizione della crisi, previsto dall’art. 7 e ss. l. 3/12, la procedura idonea ad affrontare e risolvere il caso.

La situazione descritta nel ricorso

 La verifica circa l’entità del debito porta ad individuare un importo complessivo pari a € 674.552, la cui maggior percentuale si riferisce ai mutui bancari ipotecari, cointestati con la moglie, e ad altri debiti derivanti da contratti bancari.

Lo scopo perseguito con la proposta di piano è quello di far mantenere la casa familiare al nucleo composto da madre e figli minorenni, per garantire loro una stabilità e un futuro meno incerto.

Poiché la maggior parte del debito deriva dai mutui e da altri contratti bancari, con conseguente impatto sulla maggioranza di voto richiesta per all’approvazione del piano da parte dei creditori, viene ricercato un preaccordo con il creditore ipotecario.

Il preaccordo riguarda la posizione debitoria derivante dai mutui fondiari ipotecari, cointestati tra gli ex coniugi, e il debito originato da un conto corrente intestato solo al debitore.

Alla banca mutuataria il debitore destina la somma complessiva di euro 185.000, determinata con perizie sugli immobili di proprietà, in parte già ottenuta tramite la vendita del negozio di sua proprietà, che con la vendita a mercato libero riesce ad essere venduto a prezzo ben superiore al valore di perizia, per un prezzo di euro 148.000, e in parte derivante dall’apporto di finanza esterna da parte dell’ex coniuge, che mette a disposizione il residuo importo di 37.000 euro, erogazione condizionata all’omologazione dell’accordo e al rilascio da parte del creditore ipotecario dell’assenso alla cancellazione delle ipoteche contestualmente al pagamento; l’ex coniuge mette a disposizione un ulteriore importo di euro 5.000, a favore di un altro creditore per un contratto di finanziamento, condizionato all’assenso all’accordo e alla liberazione dalla fidejussione prestata dal coniuge a favore del sovraindebitato per quel debito.

Per gli altri creditori, che saranno parzialmente soddisfatti, il debitore mette a disposizione una parte del reddito da lavoro dipendente, pari a euro 200 al mese, per cinque anni, per un totale di euro 12.000.

Nel ricorso la somma totale messa a disposizione dei creditori, tralasciando il ricavato della vendita del negozio, già versato alla banca mutuataria, ammonta pertanto a c.a 60.000 euro, pari all’8,87% del debito, di cui 48.520 provenienti da finanza esterna.

Si richiede anche che il tribunale dichiari l’improcedibilità o la sospensione di un’esecuzione mobiliare presso terzi pendente, con eventuale dichiarazione di non opponibilità alla procedura di sovraindebitamento dell’assegnazione dei crediti pignorati.

Nella relazione particolareggiata dell’OCC si dà atto della fattibilità del piano, e si evidenzia la sua convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, poiché il debitore risulta proprietario al 50% del solo immobile adibito a casa familiare, assegnato all’ex coniuge in sede di separazione, e quindi non aggredibile dai creditori dell’attività imprenditoriale successivi al provvedimento di assegnazione, altresì conferito nel fondo patrimoniale.

Il tribunale, nel fissare l’udienza di comparizione, dispone la sospensione della procedura di espropriazione presso terzi pendente.

La prima formulazione della proposta di piano

Nella proposta formulata all’esito del confronto con l’O.C.C. si dà atto che il ricorrente e la moglie hanno concluso l’accordo transattivo con l’istituto di credito per la posizione debitoria derivante dai mutui ipotecari cointestati e dal conto corrente intestato al ricorrente. Alla Banca è destinata la somma di € 185.000, parte già corrisposta tramite il ricavato ottenuto dalla vendita dell’immobile del debitore, pari a € 148.000, e parte tramite l’apporto della finanza esterna ad opera della ex moglie, per € 37.000, condizionato all’omologa del piano e all’assenso della banca alla cancellazione delle ipoteche sull’immobile familiare.

Un ulteriore apporto di finanza esterna da parte dell’ex coniuge per la somma di € 5.000 è destinato ad estinguere un debito sorto per un contratto di finanziamento, condizionato all’assenso del creditore all’omologazione del piano e alla liberazione dalla garanzia fideiussoria del terzo finanziatore.

Per gli atri creditori, il ricorrente mette a disposizione una rata di € 200 mensili per cinque anni, per un totale di € 12.000, derivanti dal suo reddito da dipendente e da affitto d’azienda, detratta la quota per le necessità vitali.

In sintesi la proposta prevede la messa a disposizione dei creditori della somma complessiva di € 60.705,62, oltre a € 200 per l’imposta di registro sul decreto di omologa, con il pagamento della percentuale del 100% delle spese in prededuzione, della percentuale del 25,98% del credito derivante da contratto bancario, della percentuale del 7,91% del credito derivante da mutuo ipotecario e della percentuale del 6,50% dei crediti chirografari e dei privilegiati degradati.

Come già evidenziato, per l’esecuzione del piano sono previsti pagamenti rateali mensili per una durata di cinque anni.

Le contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate

A seguito del deposito della proposta di piano, l’Agenzia delle Entrate formula alcune contestazioni che, a suo dire, comporterebbero l’inammissibilità della procedura.

In particolare l’A.d.E. rileva preliminarmente il mancato inserimento tra le passività di ulteriori debiti di natura tributaria, per un ammontare complessivo di € 10.868,75, comprensivo di interessi.

Oltre a ciò, l’A.d.E. manifesta alcune riserve sull’indicazione delle somme della finanza esterna provenienti dalla ex moglie, indicate nelle due somme di € 37.000 e € 5.000, il cui totale ammonterebbe a € 42.000, a fronte di un totale di finanza esterna indicato in altra parte del ricorso nella somma di € 48.520,63, con una differenza di € 6.705,62, apparentemente priva di copertura, consistenti nel compenso dell’OCC.

Inoltre, in ragione dell’utilizzo dell’espressione “prestito” adoperata nella proposta, l’A.d.E. ritiene presumibile che la finanza esterna fornita dal terzo sia un’erogazione che prevede la restituzione da parte del debitore, e come tale non classificabile come apporto esterno, bensì come “risorsa endogena”.

Un ulteriore profilo critico secondo l’A.d.E. consiste nella mancata disamina dell’alternativa liquidatoria, in relazione al valore di realizzo dell’azienda di proprietà del debitore, concessa in affitto a una società costituita dall’ex coniuge, e quindi con ulteriore profilo di possibile non congruità del canone. Tale mancanza violerebbe il requisito della dimostrazione della convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria, alla luce della presenza di creditori con privilegio, che nel piano sono stati tutti degradati a chirografari.

Per tutte queste ragioni l’A.d.E. ritiene inammissibile la proposta di accordo avanzata dal debitore.

L’integrazione alla prima proposta del piano

Alla luce delle contestazioni dell’A.d.E., il ricorrente provvede ad integrare la proposta, prevedendo la copertura della maggior somma per debiti tributari con l’aumento dell’importo della rata mensile messa a disposizione dei creditori.

Quanto alla rilevata differenza tra i due importi di finanza esterna messi a disposizione dall’ex coniuge e il totale indicato nella proposta come proveniente da finanza esterna, viene fornita la specificazione circa l’apparente differenza di € 6.520,63; si tratta del compenso dell’O.C.C., rientrante tra i crediti prededucibili, la cui provvista è messa a disposizione dell’ex coniuge. Viene pertanto acquisita e prodotta una dichiarazione dell’interessata circa l’assunzione di tale onere.

Quanto ai compensi professionali spettanti al legale del debitore, anch’essi di natura prededucibile e/o in privilegio ex art 2751 bis n. 2 c.c., se ne prevede il pagamento con piccole quote mensili comprese nelle rate del piano.

La contestazione relativa alla mancata disamina della convenienza tra l’alternativa liquidatoria e l’accordo, alla luce della presenza dell’azienda del debitore concessa in affitto e dei creditori muniti di privilegio, viene superata dimostrando lo scarso valore dell’azienda, inferiore all’importo messo a disposizione del piano tramite la finanza esterna, e la congruità del canone di affitto, in relazione alle risultanze contabili e fiscali, mediante la produzione di un atto notorio in cui il commercialista, che tiene la contabilità dell’azienda, attesta tali circostanze.

Nella nuova proposta la somma totale messa a disposizione dei creditori sale da € 60.000 a € 65.163,62, e l’esborso mensile da coprire con una quota del reddito lavorativo del sovraindebitato passa da € 200 a € 272,57, con percentuali di soddisfo dei vari creditori invariate rispetto alla prima proposta.

Anche l’O.C.C., a seguito delle contestazioni dell’A.d.E. e delle integrazioni al piano fornite dal ricorrente, provvede ad integrare la propria relazione particolareggiata, perorando la fattibilità del piano, evidenziando tra l’altro che la liquidazione dell’azienda farebbe venire meno parte del reddito del sovraindebitato, con conseguente perdita della fonte di sostentamento del debitore e della sua famiglia, esito contrario allo spirito della l. 3/2012.

L’accoglimento della proposta e l’omologa da parte del Tribunale

Il Giudice designato, ritenendo sussistere e presupposti di legge e superabili le ulteriori osservazioni dell’A.d.E, rilevato che la percentuale di voti favorevoli ha superato la quota del 60% dell’esposizione debitoria complessiva, omologa l’accordo.

Per l’esecuzione dell’accordo, il Giudice delega il gestore nominato dall’O.C.C. a verificare l’accreditamento delle somme su un conto dedicato e ad effettuare i successivi pagamenti ai creditori, con predisposizione di relazioni periodiche semestrali e rendiconto finale.

Senza dubbio le particolarità da sottolineare del caso esaminato consistono nella ricerca di un preaccordo con la banca mutuataria, detentrice della maggioranza relativa in sede di voto sulla proposta e nel coinvolgimento dell’ex coniuge, come apportatore di finanza esterna.

In tal modo è stata assicurata la prevalenza del voto favorevole all’accordo, e il co-debitore mutuatario nonché garante, grazie al coinvolgimento come terzo finanziatore, ha ottenuto la cancellazione delle ipoteche dell’immobile adibito a casa familiare assegnatogli in sede di separazione e la liberazione dal vincolo fideiussorio per un finanziamento ottenuto dal debitore, conseguendo di fatto gli stessi effetti dell’esdebitazione che otterrà il sovraindebitato.

Avv. Elena Ceserani Avv. Massimo Carrattieri

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